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launeddas Punt'e Organu

Sardegna XIX secolo
inv. n. 55

Nino Cabitza (voce) e Pasquale Errio (launeddas). Archivi di etnomusicologia, Raccolta 14, 28 marzo 1950

Le launeddas sono uno strumento popolare arcaico, tipicamente sardo, il cui nome, secondo alcuni, sembrerebbe derivare dal latino ligulella, cioè linguetta. La sua esistenza è attestata in Sardegna già nel primo millennio avanti Cristo, grazie a un bronzetto nuragico rinvenuto a Ittiri (Oristano). Le launeddas fanno parte di un vasto insieme di "clarinetti" policalami diffusi in tutta l'area mediterranea fino dalle antiche civiltà sumere ed egizie, tremila anni prima della nascita di Cristo, ma rappresentano un unicum, poiché sono costituite da un canneggio triplo anziché doppio.

I suonatori di launeddas sono tradizionalmente considerati professionisti. Secondo antiche consuetudini, al mestiere di suonatore si affiancava quello di calzolaio e l'allievo veniva preso "a bottega" per apprendere ambedue le professioni, secondo forme codificate di apprendistato.

Le launeddas si sono conservate nell'uso tradizionale sino ad oggi, specialmente in Campidano, Trexenta, Sarrabus e Cabras, ma sono entrate anche in ambiti musicali moderni, come il jazz.
Il loro repertorio tipico comprende musica da ballo, suonate processionali e accompagnamento del canto. In passato le launeddas erano legate anche al ball'e missa, il ballo domenicale che si teneva sulla piazza della chiesa e costituiva un'occasione di incontro per i giovani. Si tratta, comunque, di repertori particolarmente complessi, poiché prevedono una continua improvvisazione e variazione su frasi tematiche (nodas) da suonarsi in successione.

Il suono prodotto è continuo, ininterrotto, poiché le launeddas sono suonate con la tecnica della respirazione "circolare": il musicista inspira l'aria dal naso e ne convoglia una parte nella cavità orale che funge da serbatoio di riserva.
In ciascuna delle tre sottili canne, di lunghezza diversa, viene inserito un cannello nel quale è intagliata un'ancia semplice battente che produce il suono similarmente a quanto avviene nel clarinetto. Le tre ance sono tenute in bocca contemporaneamente e ciò permette di produrre una polifonia. La canna più lunga, tumbu, è priva di fori e produce una sola nota di bordone, la seconda canna, mankosa, e la terza e più piccola, mankosedda, sono canne melodiche, dotate ciascuna di quattro fori per la diteggiatura, posti a distanza regolare l'uno dall'altro, e di un quinto foro d'intonazione. L'insieme delle canne è detto gogu de launeddas o kuntsertu de launeddas.

I kunsertu si distinguono in diversi tipi, secondo la scala musicale prodotta, ciascuno tagliato in varie tonalità (puntus). Questo esemplare è un Punt'e organu, entrato a far parte della collezione già nel 1898 ed è di fattura particolarmente pregevole, tipica della scuola del Sarrabus che vantava e vanta tutt'oggi i più raffinati maestri, custodi delle tecniche costruttive e del ricco repertorio e patrimonio orale a riguardo. Lo strumento è uno dei più antichi che si conservino intatti.